La corrida, l'orrore acclamato come sport
La corrida, l'orrore acclamato come sport

Nello sport, la violenza esiste. Magari non sempre in forme ecclatanti com'è per la boxe o altre tecniche di combattimento, ma la tensione che diventa manifestazione aggressiva la troviamo un po' dappertutto, volenti o meno: nel calcio, rugby, nuoto, ciclismo, golf e via dicendo. Nella maggior parte rimane sopita nel gesto atletico, non si scatena contro nessuno, però non è altrettanto raro vedere volare pugni e schiaffi durante le gare.

Ci sono poi occasioni in cui è la stessa violenza la protagonista. E in alcune lo stesso termine “sport” non appare il più giusto da usare, anche se, oggettivamente, chi si esibisce è un atleta che si allena duramente: è il caso della corrida, l'esempio attualmente più simile all'antico orrore degli scontri tra gladiatori nell'arena. Una manifestazione che ha radici lontanissime nel tempo, tanto da risalire alla civiltà minoica-micenea al XVIII secolo a.C., ma che divenne quella che conosciamo oggi solo nel '700.

Dalle isole greche la tauromachia si diffuse in tutto il mondo, fino ad arrivare nel Paese conosciuto il tutto il mondo come sua “patria”: la Spagna. Non è certo l'unico, tant'è che anche in Italia ce n'erano esempi come la “giostra dei tori” nello Stato pontificio e la Caccia ai Tori in Campo San Polo a Venezia, senza poi dimenticare le zone d'influenza ispaniche in Sud America: Messico, Perù, Venezuela, Ecuador, Colombia, Costa Rica, Panamá e Bolivia. Negli USA sono poi famosissimi i rodeo, ben diversi dalla forma tradizionale di lotta tra uomo e bestia, mentre in Inghilterra solo nell'800 terminò il bull-baiting, ossia lo scontro tra un toro e dei cani.

Basterebbe questa breve carrellata internazionale per far rabbrividire qualsiasi animalista e non solo, oltrettutto dopo aver incluso la corrida nella categoria degli sport. Ma questa sanguinosa tradizione, per gli animali e gli stessi umani, ha un chè d'intrinseco nell'animo del popolo spagnolo che divenne uno degli strumenti con cui il dittatore Francisco Franco mantenne il proprio potere assoluto fino alla morte. Prima di lui, nemmeno i tentativi di Filippo V nel 1723 e di Carlo IV nel 19805 di proibirla ottennero risultati: il generale non dovetta fare altro che assecondarla.

Come gli antichi imperatori romani, quindi, egli fece in modo che gli incontri tra toreri e tori diventassero un appuntamento a cui non si poteva mancare. Non entreremo nel dettaglio di questo “spettacolo”, già agghiacciante così, ma appare interessante constatare come esso sia un filo rosso che unisce la storia spagnola da Medioevo fino ad oggi: la violenza dimostrata in questi frangenti ha smosso perfino il Vaticano, quando nel '500 papa Pio V emanò 4 bolle a severa condanna delle corride e le altre fiesta. Inutile dire le conseguenze che ebbero questi provvedimenti, nonsotante la profonda religiosità degli spagnoli.

Oltre al “panem et circenses” per la popolazione, Franco non poteva pestare i piedi dei ricchi latifondisti e allevatori di bestiame, che fanno crescere le bestie che poi verranno uccise davanti al pubblico febbricitante. A loro, più recentemente, si è unita anche l'industria del turismo, che punta sulla tradizione per aumentare il proprio giro d'affari. Ciò nonostante, in diversi, anche dal mondo della cultura, hanno criticato aspramente questa pratica, come Almodovar nel suo “Il Matador”. E qualcosa sta iniziando a cambiare: Tossa de Mar è stata la prima città ad aver abolito la corrida, nel 2011 è stato il turno di Barcellona.

Nell'agosto 2015 La Stampa riportava i tagli dei finanziamenti alle corride, se non la loro totale cancellazione, in diverse città del Paese: la politica locale (soprattutto di sinistra) si muove nel senso opposto dell'ultimo governo di Mariano Rajoy, che nel 2013 le ha inserite nel patrimonio culturale spagnolo. Mentre il pubblico applaude, c'è chi si ingrassa. E non sono i tori.

VAVEL Logo