"Vergogna d'Italia, squalificatelo a vita, la nostra forza è essere puliti, noi non lo vogliamo in nazionale"

Poche parole, un macigno pesante che si ripercuote sulla tranquillità dell'Atletica italiana. Il gruppo azzurro è diviso, a confermarlo un messaggio via social di Gianmarco Tamberi. Il campione del mondo indoor di Salto in Alto - 2.36 a Portland poco più di un mese fa - non è uomo da mezze misure, non è uomo da compromessi e silenzi. Un attacco frontale, per svelare la sua opinione in merito a un caso che attrae pensieri e parole da ogni lato del globo sportivo. 

Alex Schwazer chiude oggi il suo percorso in secondo piano. Si estingue al tramonto di giornata la sua squalifica e il marciatore torna ad essere atleta a tutti gli effetti, dopo le prove lontano dai riflettori, con lo sguardo di sdegno di molti e l'attenzione di pochi. 

Il montante di Tamberi coglie in pieno volto Schwazer a pochi giorni da un delicato test, in programma domenica 8 maggio a Roma. Mondiale a squadre, la chiamata olimpica. Schwazer si gioca nella capitale la sua presenza a Rio, deve confermare le sensazioni recenti in un contesto di gara, con la pressione a limare incedere e passo. Combattere contro i fantasmi del passato, contro gli sguardi torvi del presente, con la spada di Damocle della giustizia a pendere sul capo di un pentito di talento. 

Il profilo del marciatore è basso, come d'ordinanza. Non c'è traccia dell'arroganza giovanile, il patto è chiaro. Solo la pista può parlare, Schwazer accetta le fiondate di compagni e stampa, è nell'ordine delle cose. Un errore come il suo destabilizza un movimento, non è cosa di secondo piano. 

"So di avere deluso tanta gente, mi sono scusato e mi scuso. Ma le scuse a parole non servono. Palerò con chiunque vorrà parlare con me. "

Lapresse/Giorgio Perottino
Lapresse/Giorgio Perottino

Solo il tempo può lenire la ferita, solo un ritorno da campione, qual Schwazer è, può attenuare la delusione. Ancora oggi, Alex resta una delle poche frecce a cinque cerchi dell'Atletica italiana. Recuperato l'uomo, occorre recuperare il campione. 

"Penso che il modo di scusarmi sia stato sposare questo progetto, cambiare vita, affidandomi a un allenatore che ha fatto della lotta al doping una ragione di vita". 

Una scelta, almeno inizialmente, estrema, figlia di un preciso desiderio, un desiderio di credibilità. Unirsi a Donati per sottolineare la rottura con le scorciatoie di ieri, per portare alla ribalta la resurrezione di oggi. 

Manca poco, un peccato vedere su lati opposti caratteri diversi, ma della stessa pasta, quella che contraddistingue i fuoriclasse. Tamberi e Schwazer. Il no del primo al secondo. Il silenzio del secondo per convincere il primo. 

Fonte dichiarazioni Gds

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Johnathan Scaffardi
Lo sport come ragione di vita, il giornalismo sportivo come sogno, leggere libri e scrivere i piaceri che mi concedo