Si è concluso ieri l'Europeo di pallacanestro edizione 2017 dell'Italia di Ettore Messina, sconfitta ai quarti di finale dalla Serbia di Sasha Djordjevic. Gli azzurri terminano dunque la loro spedizione tra le prime otto, replicando peraltro il risultato di Berlino/Lille di due anni fa, con la sensazione di aver fatto il massimo. Un massimo che non è bastato a superare ostacoli di alto livello, insormontabili per le possibilità attuali di una nazionale costruita sulla difesa e sul movimento di uomini e palla in attacco, orfana di stelle di prima grandezza e soprattutto di fisicità.

Il bilancio di questo EuroBasket 2017 a tinte azzurre non può che essere positivo per il commissario tecnico e i suoi ragazzi. Chiedere loro di più sarebbe stato eccessivo e soprattutto fuori dalla realtà dei valori in gioco. Poche altre nazionali hanno mostrato un sistema - offensivo e difensivo - così riconoscibile come quello dell'Italia, merito di Messina, capace di dare un'impronta, l'unica possibile, a un gruppo dal talento limitato ma con una gran voglia di fare strada. E' così che gli azzurri hanno superato la fase a gironi di Tel Aviv, traguardo non scontato, considerato l'equilibrio che regnava in Israele, dove Lituania, Georgia e Germania erano quasi sullo stesso piano (più staccati i padroni di casa, comunque pericolosi, e l'Ucraina). "Ci siamo spaccati la schiena ogni giorno, non potrei essere più orgoglioso dei miei ragazzi", le parole di Messina al termine dell'avventura europea. Tutta la consapevolezza e la razionalità del c.t. nel commentare la sconfitta, nonostante - come sottolineato poi da Datome - perdere costringa sempre  e comunque a vivere la sensazione di aver lasciato qualcosa di incompiuto. Eppure, l'Europeo azzurro non è iniziato a Tel Aviv, ma quaranta giorni prima, quando Messina e il suo staff hanno costruito la loro Italia, dovendo fare a meno dopo pochi giorni di ritiro di Danilo Gallinari, autoesclusosi dalla competizione con un scellerato pugno, poi ritortosi contro, scagliato nei confronti di un giocatore olandese, nel bel mezzo di un'amichevole di preparazione. Superato lo choc per l'assenza del miglior giocatore della nazionale, gli azzurri si sono gradualmente compattati, passando per sconfitte in serie ad agosto, arrivando a Tel Avivi con certezze difensive e offensive, e soprattutto con un gruppo compatto e coeso, in cui ognuno conosceva perfettamente le proprie responsabilità.

Ne è derivata così un'Italia di battaglia, che forse proprio per questo motivo ha fatto affezionare i tifosi di pallacanestro (ma anche chi non segue il basket assiduamente). L'idea di essere meno talentuosi degli avversari, ma più organizzati, ha entusiasmato sin dalla palla a due della sfida d'esordio contro Israele, soffocata dalla difesa di Messina. Chiare le scelte del commissario tecnico: puntare sulla propria metà campo per darsi una chance praticamente contro chiunque, mentre dall'altra parte sopperire al talento individuale e diffuso con movimento di uomini e palla, spesso portato anche al termine dei ventiquattro secondi, per costruire il tiro migliore possibile. Una nazionale simile a una squadra NBA che Messina conosce bene, allenata da Quin Snyder, ovverosia gli Utah Jazz, riusciti lo scorso anno nell'impresa di giungere al secondo turno dei playoffs della Western Conference.

Partito con Marco Cusin titolare, unico vero centro, il c.t. ha modellato la sua difesa sulle caratteristiche avversarie, riuscendo a limitare - se non ad annullare - Israele, Ucraina, Georgia e Finlandia, salvo cedere solo con Lituania, Germania e Serbia. Proprio contro la Serbia sono venuti fuori i limiti strutturali dell'Italia. Non solo e non tanto in attacco, dove diversi possessi sono stati un'avventura , come accaduto in fasi dell'intero Europeo (ottima comunque la difesa serba), ma nell'accoppiamento con giocatori più fisici dei Cusin, dei Melli, dei Datome e dei Baldi Rossi. Christian Burns e Paul Biligha hanno provato a sopperire con la voglia e la determinazione ai centimetri di Marjanovic e Kuzmic, ma invano, anche perchè Bogdan Bogdanovic si è dimostrato un giocatore di livello superiore (non solo un tiratore, ora atteso alla prova NBA con la maglia dei Sacramento Kings). Daniel Hackett e lo stesso Marco Belinelli hanno fatto meraviglie in difesa per tutto il corso del torneo: il primo giocando sulle sue caratteristiche, il secondo mettendo a frutto anni e anni di miglioramenti in una fase del gioco che lo vedeva molto indietro a fine carriera.

E' stata l'Italia delle stoppate di Datome, delle triple di Belinelli, delle giocate spesso estemporanee dell'oriundo tutto cuore Ariel Filloy, delle rotazioni difensive, dell'intelligenza tattica di Niccolò Melli, del coraggio di Daniel Hackett, delle scorribande di Pietro Aradori, della sfrontatezza di Paul Biligha e degli altri debuttanti. Una nazionale lontana - per talento - a quella del 2015 (fuori Gallinari, Gentile e Bargnani), che ha raggiunto un obiettivo da difficile, e che ha appassionato anche senza divertire. Un'avventura di due settimane in cui l'azzurro è tornato a splendere per larghi tratti del torneo, ma che non ha margini di futuribilità.

I limiti del roster di questi Europei sono gli stessi di un intero movimento, e tra un anno, quando in panchina ci sarà Meo Sacchetti, potrebbe non essere così facile replicare il risultato di Tel Aviv/Istanbul. Urge una svolta, ed è il momento giusto per parlarne, dopo la bella parentesi continentale.

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Andrea Russo Spena
Laureato in giurisprudenza, con una passione senza confini per lo sport. [email protected]