Giochi nella squadra più forte della Eastern Conference, e in una delle due squadre più forti dell'intera lega. Sei reduce da una gara3 delle Finals di Conference in cui un vantaggio di 21 punti si è trasformato in una clamorosa sconfitta - per giunta tra le mura amiche - contro una squadra che era priva della sua stella di primordine. Il tuo compagno di squadra più celebrato, e probabilmente più forte ha giocato abbastanza male in quella gara3 e non ha iniziato al massimo nemmeno gara4, caricandosi addirittura di quattro falli nel giro di un quarto e mezzo (ed è la prima volta che gli succede nella sua lunga e pluridecorata carriera ai playoff). Se sei un giocatore qualunque, ti fai prendere dalla foga, dall'ansia, forse da un eccessivo entusiasmo che ti induce a prendere decisioni talvolta sbagliate. Ma siccome di nome fai Kyrie Andrew e di cognome fai Irving, porti sulle spalle non solo la canotta di una squadra ma tutta una città che sogna un favoloso repeat, non puoi fare altro che giocare in maniera celestiale e condurre la tua armata alla vittoria.

Kyrie Irving ha spiegato a tutti, amanti del basket anzichè no, il concetto di "vincere una partita da solo". Un concetto che in teoria non dovrebbe appartenere a uno sport che fa della legacy, dell'unione di più forze uno dei suoi elementi di base. Ma talvolta le eccezioni rendono ancor più affascinante e più pazzesco questo gioco, e il numero 2 dei Cleveland Cavaliers questa notte, durante la gara4 delle Eastern Conference Finals contro i Boston Celtics, ha deciso di togliersi i panni di Uncle Drew per indossare quelli di Marty McFly, facendoci salire tutti a bordo di una virtuale DeLorean e portandoci indietro di qualche mese, quasi un anno fa. Sì, perchè l'Irving visto sul parquet questa notte, in particolare nei 18 minuti e 46 secondi di assenza di LeBron James dal parquet, ci ha ricordato molto da vicino l'Irving travolgente e immarcabile che ha consentito ai Cavs di vincere gara5 delle ultime NBA Finals, quando i Golden State Warriors stavano già pregustando la possibilità di vincere ancora una volta il titolo sul parquet dei loro nuovi rivali.

18 minuti e 46 secondi da mozzare il fiato, iniziati in un momento di massima tensione per i Cleveland Cavaliers. Reduci dalla clamorosa sconfitta in gara3, con il suddetto vantaggio di 21 punti dilapitato senza coscienza, e con i Boston Celtics che erano in vantaggio di dieci punti e con James che aveva appena commesso il suo quarto fallo. Era dunque giunto il momento di fare qualcosa di speciale, e Kyrie Irving era lì esattamente per quel motivo. Sedici tiri tentati, di cui tredici andati a bersaglio. Quattro canestri su sei conclusioni con i piedi dietro l'arco dei tre punti. Il tutto condito da un viaggio in lunetta, forse nell'unica occasione in cui una sua scorribanda verso il ferro si era conclusa senza un canestro. E così, lo svantaggio in doppia cifra accusato dai Cavs nei primi 17 minuti e 13 secondi di partita, è diventato un vantaggio di sette lunghezze al termine del terzo periodo. Per Uncle Drew è arrivato anche il career-high nei playoff, con la quota di 42 punti che va a limare i 41 messi a segno, guarda un po', proprio in quella favolosa gara5 delle ultime NBA Finals.

"Sapevamo che ci stavamo avviando verso metà gara senza aver giocato la nostra pallacanestro migliore, perciò eravamo consapevoli del fatto che le cose sarebbero andate male se non fosse cambiato qualcosa. Gara4 è sempre una partita fondamentale in chiave playoff, specialmente per noi dopo il modo in cui abbiamo perso gara3. Nella mia testa avevo fisso un pensiero, ovvero 'Non possiamo pareggiare questa serie', non volevo tornare a Boston sul 2-2". E direi che Kyrie c'è riuscito nel suo intento, non prima di aver spiegato come ha fatto a giocare sulla soglia del dolore per il problema alla caviglia: "Con una partita del genere da giocare, hai due opzioni tra le quali scegliere. Puoi rimuginare sul dolore che stai provando per una distorsione alla caviglia, oppure puoi cogliere il momento e giocare la tua partita. Avevo troppa adrenalina in corpo per fermarmi. Sono sicuro che quando tornerò a casa, il mio corpo manifesterà odio verso di me". 

Ma sentite LeBron James, e le sue parole a dir poco smielate nei confronti dell'uomo che ha tolto le castagne dal fuoco, a lui e a tutta Cleveland, in sua assenza: "È un ragazzo speciale, ha un talento speciale. Quando la posta in gioco sale in maniera vertiginosa, il suo livello di gioco cresce a dismisura, non ero affatto sorpreso nel vedere ciò che stava facendo. È una cosa che ho percepito fin dal primo giorno in cui sono arrivato qui e ho iniziato ad allenarmi e a giocare con lui".