Finalmente. Dopo un mese e mezzo di playoff al di sotto delle aspettative, sono arrivate all’ultimo atto le due squadre più forti al mondo: i Golden State Warriors e i Cleveland Cavaliers. Sarà la terza serie finale consecutiva tra di loro – non era mai accaduto prima – l’ottava in carriera per LeBron James (settima di fila), “solo” la seconda per Kevin Durant, che finalmente si trova nella posizione in cui voleva essere, fin dallo scorso 4 luglio, quando comunicò la sua scelta di approdare alla Baia. 

Come arrivano le squadre


Rispetto alle vicissitudini delle Finals 2015 e 2016, stavolta le due franchigie sono giunte spendendo meno energie – solo Boston è riuscita a strappare una W contro i Cavs, mentre nessuno ne è stato capace con i Warriors – e senza che nessun giocatore accusasse problemi fisici nelle settimane antecedenti. L’unica assenza dovrebbe essere quella di Steve Kerr, che seguirà la squadra, ma che difficilmente si siederà in panchina, come anticipato dal GM Bob Myers: “In questo momento, non è in grado di allenare”. Con la squadra affidata a Mike Brown, desideroso di rivincita dopo il doppio licenziamento subito in Ohio nel 2010 e nel 2014, occorrerà vedere se questi sarà in grado di gestire i suoi uomini dal punto di vista emotivo, soprattutto nelle situazioni più delicate e ad alta tensione. In regular season le due finaliste si sono affrontate due volte: a Natale, quando i Cavs vinsero al fotofinish, e a gennaio, occasione in cui Golden State dilagò.

In queste 13 partite di post-season, Cleveland ha mostrato un attacco straripante (120.7 di offensive rating, il migliore di sempre nei playoff). Dall’altra parte Golden State non è stata da meno, dimostrando di avere a propria disposizione una quantità di soluzioni incredibile per fare canestro. Il suo meraviglioso gioco offensivo, però, parte dalla difesa, la migliore di questi primi tre turni, come dimostrano i 99.1 punti subiti ogni 100 possessi. A scontrarsi ci saranno anche due filosofie cestistiche molto diverse: il gioco di squadra di Golden State, fatto di tanti assist (nella post-season il 64.8% dei loro canestri dal campo sono nati proprio da un assist) e passaggi (300.9 a serata, solo i Celtics hanno fatto meglio), contro le grandi individualità di Cleveland, quelle di James e Irving su tutti, come sottolineato dal fatto che questi due campioni figurano nella top ten per frequenza di isolamenti presi (secondo Kyrye, decimo LeBron). 

Le chiavi

La cosa più importante per Cleveland sarà cercare di rallentare il ritmo della partita: in questo senso, sarà essenziale che il pace sia inferiore a quello che Golden State ha fatto registrare fin qui, ovvero 102.6 (97.7 quello dei campioni in carica), impedendogli di segnare troppi punti in contropiede (20.7 di media nei playoff); nelle due sfide di regular season il numero di possessi medio è stato di 105.7. Per evitare tutto questo, sarà importante per Cleveland evitare di concedere troppe palle perse e avere il predominio sotto i tabelloni, ma anche mantenere un’intensità difensiva elevata per tutti 48 minuti. Finora i Warriors hanno preso il 20.6% dei loro tiri nei primi 6 secondi dell’azione e sono ultimi – o primi, a seconda dei punti di vista – per quanto riguarda la durata dei possessi, media di secondi per tocco e palleggi medi (per tocco). Al contrario, nei primi tre turni di playoff Cleveland ha concesso ai propri avversari di prendersi il 54% dei loro tiri entro i primi 12 secondi (solo Portland ha fatto peggio), mentre se ne sono presi 21.9 a serata dopo che un giocatore ha tenuto la palla per almeno 6 secondi (per intendersi, Golden State è ferma a 9.1). 

In particolare, sarà importantissimo l’impatto che avrà Tristan Thompson. La sua pericolosità a rimbalzo offensivo, dimostrata dal fatto che nei playoff sia stato l’unico a prenderne 7 in tre circostanze, e la sua capacità di proteggere il ferro – con lui in campo, nelle Finals 2016 Golden State ha ottenuto solamente 19 tiri liberi su 100 possessi – saranno due chiavi di volta per capire come andrà a finire questo scontro. Lo sarà altrettanto la sua abilità nel difendere su chi porterà blocco sulla palla: in questa circostanza, infatti, gli avversari segnano solamente 0.87 punti di media, il migliore tra i 28 giocatori che hanno difeso in tale contesto per almeno 100 volte. Nella serie contro Boston, poi, si è visto finalmente il miglior Kevin Love, che sembra aver trovato definitivamente la sua dimensione in questa squadra, accettando il suo ruolo di “terzo violino” e riuscendo ad essere prezioso a rimbalzo, in post, dall’arco (22/40 contro Boston) e in difesa. Nei playoff, infatti, il Beach Boy ha collezionato 3 deviazioni a partita e ha recuperato 2.6 palloni vaganti, dimostrando una reattività e una concentrazione che raramente gli si erano viste in precedenza. Sarà curioso vedere quanto i Cavs utilizzeranno il pick and roll tra James e Irving, vista anche la grande efficienza di entrambi sia come palleggiatore che come bloccante (basti pensare che, con Uncle Drew come roll man, Cleveland produce mediamente 1.50 punti), specialmente quando i Cavs non potranno giocare a campo aperto, frangente in cui sono letali, piazzando sempre almeno tre uomini affidabili sulla linea del tiro da tre punti, come dimostra l’irreale 46,3% con cui stanno tirando da quella posizione. 

Source: Ezra Shaw/Getty Images North America
Source: Ezra Shaw/Getty Images North America

Rispetto all’anno scorso, Cleveland ha aggiunto giocatori del calibro di Korver e i due Williams, mentre Golden State ha trovato un giocatore fenomenale come Kevin Durant, oltre ai vari Pachulia, West e McGee. L’ex OKC ha portato in California tutto il suo talento scintillante, ma anche un apporto in difesa quasi inaspettato; questo senza contare che, con KD, adesso i Warriors hanno acquisito grande pericolosità in post up. I campioni del West, inoltre, avranno bisogno di ritrovare il miglior Klay Thompson, che contro San Antonio ha tirato con il 32.5% dal campo e che nei playoff è al 48,5% di true shooting, senza contare un PER pari a 8.4, il peggiore tra tutti i Dubs. Non meno importanti saranno Draymond Green – con lui in campo Golden State ha un efficienza offensiva pari a 128 e una difensiva di 96 – e Steph Curry, che sarà motivatissimo a smentire le critiche che gli sono state rivolte dopo le Finali dell’anno scorso (ma anche in seguito a quelle del 2015). Finora in post-season ha messo a referto 28.6 punti a partita, con il 62.2% di percentuale effettiva dal campo, oltre a un plus/minus stagionale pari a 12.8, il migliore della Association.

Altro punto cardine della serie sarà la capacità delle due second unit di fornire un apporto di alto livello, con i vari Iguodala, West, McCaw, McGee e Clark da una parte, e Korver, Deron e Derrick Williams, Shumpert e Jefferson dall’altra. Molto probabilmente vedremo spesso Golden State che cercherà di partire a ritmo altissimo – nei playoff segnano 31.2 punti su 100 possessi nel solo primo quarto. Allo stesso tempo, i Dubs dovranno cercare di evitare il più possibile che la partita si decida nei possessi finali, come ha dimostrato il recente passato. In questi frangenti, la capacità di LeBron di dominare le partite mentalmente ancor prima che tecnicamente e l’abilità di Irving di segnare in qualsiasi modo in situazioni di uno contro uno potrebbero fare una differenza enorme.

Foto: Bleacher Report
Foto: Bleacher Report

In generale, i valori e le soluzioni a disposizione delle due squadre sono talmente elevati che tutto lascia dunque presagire a una delle edizioni delle Finals migliori degli ultimi anni, se non addirittura di sempre.

Articolo di Gabriele Ferrara

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