Anche stavolta, un buco nell’acqua. Nonostante la post-season con un record da 12-1, spazzando letteralmente via tutte le concorrenti della Eastern Conference, i Cleveland Cavaliers hanno dovuto di nuovo abbassare la testa davanti alla forza dei Golden State Warriors nelle NBA Finals. Nonostante un LeBron James in versione leggenda (primo nella storia a chiudere una serie di finali con una tripla doppia di media), Durant e compagni hanno chiuso la serie in cinque gare, festeggiando con il 129-120 della Oracle Arena.

Ora, quindi, a motori freddi, la franchigia dell’Ohio deve interrogarsi: cosa si può fare ancora per provare ad impedire ai campioni in carica di mettere in piedi una vera e propria legacy portandosi a casa tutti gli anelli dei prossimi 3/4 anni?
ESPN.com ha provato a rispondere, interrogando più di 30 addetti ai lavori (dirigenti, scout, giocatori, allenatori, agenti) in forma anonima per cercare di avere un quadro delle possibili scelte percorribili per il futuro di James e compagni. A pensarci bene, però, i Cavaliers vengono da tre Finals consecutive e possono contare su tre All-Star, nonché sul giocatore più completo ed influente dell’intera Lega. Migliorare partendo da qui sembrerebbe una questione delicata, e probabilmente non necessaria se Golden State non fosse riuscita a mettere insieme una delle migliori squadre degli ultimi anni.
“Sono una grandissima squadra, ma penso che lo siamo anche noi”  per dirla come Tyronn Lue, il problema è che qualcuno è più grandissimo di qualcun altro. Quindi, cosa fare? Mantenere intatto il nucleo, sperando di arrivare alle prossime Finals tirando meglio del 31/104 da tre nei primi episodi della serie (come successo quest’anno) e magari con dei Warriors non in formato juggernaut, oppure provare a modificare qualche tassello col rischio di rovinare l’ingranaggio?

La questione più spinosa, nell'imminente, è quella del General Manager David Griffin, in scadenza di contratto a fine giugno: nonostante la totale stima dell’ambiente e di chiunque abbia avuto a che fare con lui, la proprietà dovrà decidere se continuare ad affidargli il timone della squadra o se, in tempi brevissimi, impegnarsi a trovare un sostituto per programmare con ordine l’estate.
Diversi dirigenti, da entrambe le Conference, concordano sul fatto che Cleveland non debba toccare il suo roster. Altri scherzano, dicendo che l’ideale sarebbe “firmare Kevin Durant”. Chi suggerisce cambiamenti, invece, parla dei soliti nomi: Paul George, che però non è free agent, quindi andrebbe strappato ad Indiana verosimilmente mettendo sul piatto Kevin Love, e non solo; oppure Carmelo Anthony e Dwyane Wade, che comunque non garantirebbero lo stesso salto di qualità. La pista George sembra davvero difficile da percorrere: anche riuscendo a mettere d’accordo le società, PG13 vorrebbe da LeBron James la garanzia della sua permanenza anche oltre il suo ultimo anno di contratto (2017/18). Dal canto suo, il Re avrebbe tutti i motivi per restare, con un’ala di spessore, capace di portare punti in ogni momento, abile tiratore, ma soprattutto più a suo agio rispetto a Love nei ritmi forsennati a cui si sono svolte le ultime Finals, ma le cose non sembrano incastrarsi facilmente.

Al di là di colpi sensazionali quasi da fantabasket, almeno al momento, la sensazione è che a Cleveland manchino i cosiddetti two way players, giocatori capaci di lasciare il segno in entrambe le metà campo. Troppo spesso Lue ha dovuto scegliere, ad esempio, se tenere in campo Frye, perdendo di intensità in difesa, o Thompson, togliendo un’arma all’attacco. Stesso discorso per Deron Williams, considerato un giocatore utile per le sue mille soluzioni offensive, che però ha iniziato le Finals tirando 0/11 dal campo. E ancora, far uscire dalla panchina James o Danthey Jones, utilissimi a livello di ambiente e spogliatoio ma decisamente meno sul parquet, non sembra la strada giusta per portare a casa il secondo titolo. L’ideale sarebbe un tiratore dall’arco (sempre più il tipo di range preferito dai Cavs, anche per sfruttare i sensazionali penetra-e-scarica di LBJ) capace anche di mettere il corpo sulla palla in difesa. Qui, i nomi che circolano sono quelli che Lue già trova in casa: Derrick Williams, che andrebbe ri-firmato per cercare di continuare la sua crescita ed il suo inserimento, Key Felder (classe 1995, buono in prospettiva ma penalizzato dai soli 175 cm di statura), ma soprattutto Cedi Osman. I Cavaliers hanno ottenuto i diritti sul turco, attualmente in forza all’Anadolu Efes, nella notte del draft 2015, cedendo in cambio a Minnesota quelli di Tyus Jones. Osman, potrebbe anche essere a sua volta scambiato per ottenere una prima scelta al draft 2018, a cui attualmente Cleveland non avrebbe un ruolo di rilievo.

Cedi Osman in azione. | Fonte: twitter.com/24SaatFutbolcom
Cedi Osman in azione. | Fonte: twitter.com/SaadFutbolcom

È sempre da considerare, infatti, che Cleveland stipendia il roster più costoso della storia dell’NBA, finendo di conseguenza costantemente in zona di penalità per la luxury tax. Quest’anno la sanzione pagata all’Association si aggira sui 24 milioni di dollari, che diventeranno 38 nel caso in cui il monte stipendi rimanesse invariato la prossima stagione. Questo vorrebbe dire però lasciare alla free agency Kyle Korver, che verosimilmente potrebbe chiedere una dozzina di milioni, considerando che Jamal Crawford ne incassa 14 e che un tiratore esperto è sempre merce gradita nel mercato. In questo caso, i Cavs dovrebbero pagare qualcosa come 50 milioni per la tassa di lusso.

Ed ecco che il mare dei dubbi si apre davanti al front-office dell’Ohio: varrebbe la pena pagare 150 milioni di dollari esclusivamente di stipendi per mantenere intatta una squadra eliminata malamente, 4-1, in finale? Spazio salariale non ce n’è, il che vuol dire che anche volendo cambiare, Cleveland dovrebbe affidarsi alle trade, ma sostanzialmente, escluso Love, non si vedono contropartite di valore tra l’altalenante Shumpert ed il trentasettenne Jefferson, a meno di non voler mettere in discussione Tristan Thompson, positivo nella seconda parte delle Finals ma lungo vecchio stampo, con molti deficit offensivi, in un mondo che va sempre più verso la small-ball e le partite a punteggio altissimo.

Insomma, la situazione dei Cleveland Cavaliers in prospettiva è decisamente turbolenta: la possibilità di manovra è poca, e mantenendo più o meno il roster di quest’anno le scelte diventano fondamentalmente due. La prima è sperare che Iguodala o altri tasselli dell’armata Golden State decidano di cambiare aria, ipotesi poco probabile e sulla quale comunque non si può iniziare a costruire una stagione. L’altra, è puntare ad arrivare alle Finals 2018 migliorando in fase difensiva, lavorando sui giocatori a disposizione fisicamente e soprattutto mentalmente, cercando di limitare i cali di concentrazione e di far leva sulla voglia di rivincita. Senza considerare, però, che LeBron James, un giocatore che ha giocato 46 minuti in gara-3 e che ha visto la propria squadra incassare un -12 nei due miseri minuti passati in panchina, avrà un anno in più, e come lui Kyrie Irving e Kevin Love. Insomma, con questa squadra Cleveland sembrerebbe avere la quasi-sicurezza di accedere alle quarte finali consecutive, le none del nativo di Akron, ma col rischio di doversi ancora inchinare a Golden State. Oppure, chi lo sa, vedremo sul parquet dell’ultimo atto della stagione 2018 solo una delle due squadre. O addirittura nessuna delle due. Agli addetti ai lavori il compito di costruire, guardando al futuro, una squadra per competere nella lega più frenetica, spettacolare, competitiva ed imprevedibile del globo. A noi, quello di goderci lo spettacolo.

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About the author
Stefano Fontana
Ventenne. Ex-Liceo Scientifico abruzzese, trapiantato a Bologna nella facoltà di ingegneria informatica. Da sempre malato di calcio, fede rigorosamente rossonera, alla quale nel tempo si è aggiunta quella biancorossa dei Gunners. Con gli anni ho imparato ad amare tennis e basket NBA, grazie rispettivamente a Roger Federer ed alle mani paranormali di Manu Ginobili. Aspirante chitarrista con poche fortune. Non rifiuto mai una birra gelata.