Salvator patriae se ce n'è uno, almeno in questi tempi moderni. Riavvolgere il nastro del tempo e portarlo fino al 23 settembre 2014, giorno della nomina di Fernando Santos come nuovo commissario tecnico della nazionale del Portogallo, è il primo passo da compiere per comprendere meglio la serie di miracoli messi in atto dal vero uomo-copertina del trionfo lusitano ad Euro 2016.

Reduce da un mondiale positivo alla guida della Grecia, Santos rileva Paulo Bento ed una nazionale divisa tra una meglio gioventù con la bussola smarrita e un gruppo di veterani non caratterizzati dalla continuità. Sulla sua testa gravano otto giornate di squalifica rimediate nel match perso ai rigori con la Costa Rica, ma la Federazione degli iberici sente che un personaggio carismatico ed esperto possa essere l'uomo giusto per risollevare una Nazionale sull'orlo del baratro dopo la sconfitta interna per 0-1 contro l'Albania il 7 settembre ed un mondiale brasiliano conclusosi con l'eliminazione ai gironi. La squalifica successivamente viene ridotta, e l'epopea può avere inizio.

Le panchine importanti occupate, divise tra quella che un tempo era l'Ellade e la madre patria verde-rossa, non gli fruttano mai grande fama internazionale forse per i risultati paradossalmente esigui, esclusa la parentesi col Porto, chiusa pochi mesi prima che un certo Josè vi si accomodasse, ove collezionò cinque trofei. Dopo la coppa di Grecia del 2002 con l'AEK, seguono anni di vagabondaggio e carestia, ma sempre trovando un lavoro. Il più importante e prestigioso però arriva in quel 23 settembre. La fase di qualificazione con la sua guida tecnica vale sette vittorie, tutte ottenute con il minimo scarto. Un primissimo segnale nascosto, intermezzato però da qualche smacco in amichevole. Ma si sa, le partite in cui in palio c'è il nulla lasciano sempre il tempo che trovano, perlopiù poco.

Quell'aspetto cinico che rende quasi imbattibile nei tornei ufficiali il nuovo Portogallo si accompagna a forti aspirazioni, confermate nell'aprile 2015 da parole che lasciano varie bocche spalancate: "Il nostro obiettivo è quello di vincere l'Europeo", dichiara Santos in una conferenza stampa. Detto, fatto. Eppure è il modo in cui si realizza questo piccolo miracolo sportivo che, all'indomani della finalissima, lascia tutti sbalorditi. Perchè?

Perchè Santos ha saputo mantenere unito un gruppo molto variopinto, guidato da giocatori esperti che vedono il viale del tramonto all'orizzonte e che si portavano ancora dentro la delusione della finale del 2004, persa in casa contro la Grecia (ah, la Grecia...), con il compito di fare da chiocce ai tanti giovani affacciatisi sul palcoscenico internazionale da poco, dei talenti ancora tutti da svezzare a livello europeo, con pochissime "vie di mezzo" in quanto a carta d'identità.

Perchè Santos, compiendo un atto di coraggio, ha sacrificato il talento per la pragmaticità in più di una situazione, escludendo varie volte dalla formazione titolare un senatore come Joao Moutinho e una rising star come Andre Gomes, preferendo loro la funzionalità di Adrien Silva e l'intelligenza tattica di William Carvalho, l'abnegazione di Joao Mario e la spensieratezza di Renato Sanches. Parliamo di quattro giocatori che tra pochi anni potrebbero vestire maglie pesanti, ma probabilmente la maggior parte ad oggi è dietro ai primi due citati in un'ipotetica griglia.

Perchè ha chiesto a Nani e Cristiano Ronaldo, due giocatori devastanti palla al piede dalle fasce, di accentrare la posizione per comporre un tandem d'attacco di sacrificio e pressing, modificandone il tipico atteggiamento da ali e adattandoli di fatto da punte, trovando piena disponibilità. Cristiano Ronaldo, uno dei due più forti giocatori al mondo, e Nani, uno che nel corso della carriera ha dimostrato di avere colpi e talento in abbondanza. Accentrati. Fuori ruolo. Ottenendo il massimo.

Perchè la ricostruzione di una linea difensiva con annessa rinuncia a due istituzioni come Bruno Alves e Ricardo Carvalho ed inserimento del brusco e poco elegante Josè Fonte ha pagato dividendi altissimi, addizionando inoltre l'ottima capacità di saper scegliere i terzini adatti a seconda della situazione di gioco e del tipo di partita da affrontare.

Perchè una difesa ha bisogno di un leader, e Santos lo aveva individuato in Pepe, uno che talvolta ha dimostrato di perdere il senno con esagerata facilità, ma che questa volta nell'arco di tutta la competizione è stato in grado di gestire la propria mente, frenandosi e dimostrandosi per l'ennesima volta un centrale che vale la maglia Merengue che veste abitualmente durante la stagione.

Perchè la forza mentale impressa alla squadra è stata la prima forza di Rui Patricio, portiere dal rendimento medio più che buono, ma mai parso così affidabile come dagli ottavi in poi, quando più si è reso necessario avere un ultimo baluardo in fiducia totale nei propri mezzi.

Perchè il cambio di modulo, passando dal classico e tipico 4-3-3 portoghese degli ultimi anni ad un 4-1-3-2 più adattabile e plasmabile in base al piano-gara, ha portato più densità nelle zone nevralgiche del campo, oltre ad un nuovo atteggiamento.

Perchè convincere i propri giocatori, abituati a un tipo di calcio fatto di possesso palla ordinato, di fraseggi rapidi anche nello stretto e soprattutto senza mai lanciare e portare troppo palla, ad adattarsi ad un atteggiamento più difensivista e conservativo è cosa in cui solo un tecnico umile e di carisma può riuscire.

Perchè ha saputo tenere alte la tensione e la fiducia dopo un girone di qualificazione tutt'altro che soddisfacente, con la quasi eliminazione salvata solo da una doppietta di Ronaldo contro l'Ungheria e dopo due pareggi contro Islanda e Austria.

Perchè la gestione dei cambi è stata magistrale, riuscendo sempre a trovare l'uomo decisivo dalla panchina: l'inserimento di Quaresma contro la Croazia permise alla squadra di tornare al 4-3-3, con le ali più basse ma con più possibilità di contropiede, esattamente quanto accaduto a tre minuti dalla fine dei tempi supplementari; in finale la carta Eder, che ha alzato il baricentro proteggendo più palloni, oltre che avere più libertà di movimento, essendo stata una carta a sorpresa non letta adeguatamente dai difensori francesi.

Perchè la fortuna bisogna saperla portare dalla propria parte, non si schiera a piacimento con chi le pare. E attenzione a definire il cammino del Portogallo più agevole, perchè squadre di difesa e contropiede come Polonia e Galles erano le avversarie peggiori per caratteristiche tecniche, insieme all'Italia, per i lusitani.

Perchè ha saputo rispondere in maniera magistrale e sicura ad una domanda chiara e precisa: in una competizione quale è l'Europeo, meglio avere la quasi certezza di non perdere le partite o avere buone probabilità di vincerle? La risposta esatta è la prima. Nei 90 minuti, una vittoria e 6 pareggi, rischiando la beffa solo sul palo di Gignac.

Le chiavi del paradiso sono sempre state nella tasca sinistra di Fernando Santos. A destra, ora, c'è la Coppa.

(fonte immagini: Twitter @UEFAEURO)

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Giorgio Dusi
Vivo a Bergamo, scrivo di calcio, in particolare di Juventus e Arsenal, e di basket tra NBA ed Eurolega. Giornalista. Laureando. Forse. [email protected]