Oscillare perennemente tra la leadership di una squadra di buona classifica e un ruolo di secondo piano in una big, in un limbo che intrappola diversi calciatori di talento ai quali vengono concesse interessanti possibilità, spesso mal sfruttate, sia per ragioni di reale valore che per questioni psicologiche. Tanti di questi tentano di imporre le proprie caratteristiche partendo dal basso, scalando verso l'alto e arrivando a maturazione completa in una grande squadra europea, una chiamata che corona il percorso, o quantomeno dovrebbe.

Dusan Tadic quella chiamata l'ha spesso attesa, ma per una ragione piuttosto che per un'altra non l'ha mai ricevuta. Attenendoci al mondo del pallone, le ultime generazioni balcaniche, cresciute tra gli orrori della guerra, sono composte prevalentemente da fenomeni incostanti, alle prese con più di un problema caratteriale. Un'arma a doppio taglio per i club, aziende costrette a scegliere l'investimento migliore, salvo qualche degenero economico e di bilancio negli ultimi anni, perlopiù indirizzati a icone commerciali oltre che di campo.

Il fantasista serbo, classe 1988, rimane piuttosto nell'ombra per buona parte della sua carriera. O meglio, non si guadagna mai le luci della ribalta. Cresce nel Vojvodina, non una fucina di talenti come le ben più quotate Partizan e Stella Rossa, poi passa in Olanda, al Groningen. Nel frattempo assembla un paio di presenze in Nazionale, ma resta prevalentemente fuori dal giro, fin quanto, nel 2012, ne diventa titolare. Effettivamente impossibile non notare le sue prestazioni, tanto che il Twente, in quell'anno ancora ai vertici del calico oranje, decide di investire su di lui. I risultati sono sbalorditivi, lo testimoniano i numeri in campo: nella prima stagione 15 gol e 21 assist in 47 gare ufficiali, nella seconda 17 e 15 in 38.

Tadic con la casacca del Twente. | Fonte immagine: mondopallone.it
Tadic con la casacca del Twente. | Fonte immagine: mondopallone.it

Le zone alte della classifica dell'Eredivisie cominciano però a stargli strette, complici gli occhi addosso di diverse compagini. Sceglie la Premier League, sceglie il Southampton. Forse il campionato idealmente più difficile per uno con le sue caratteristiche: buona velocità, classe da vendere, visione, precisione, ma una scarsa attitudine alla fase difensiva e allo scontro fisico. Koeman lo rende adatto anche al calcio inglese, spostandolo spesso lungo la linea della trequarti, senza assegnargli un ruolo fisso, ma la possibilità di svariare a piacimento per il campo, protetto alle spalle da giocatori fisici, in grado di dargli copertura ed esonerarlo dai compiti prettamente difensivi, di modo da avere lucidità in avanti.

Un lavoro dispendioso, giorno dopo giorno però se ne vedono i progressi, fino all'esplosione della scorsa stagione, mandata in archivio con dodici assist. Tra i migliori del campionato, manco a dirlo, dietro solo a Ozil e Eriksen, alla pari con Payet. Insomma, l'élite della trequarti. Ah, ci aggiunge anche otto realizzazioni, tanto per gradire. Non è però tutto oro, data l'incostanza che in certe partite tende a dimostrare, arrivata a costargli anche diverse panchine e presenze in campo centellinate. Ragionando sui minuti, ogni 115 in campo ne produce uno, numeri stellari, di altissimo livello, specialmente per una squadra con ambizioni di media classifica, più concentrata sulla solidità difensiva che sull'attacco.

L'equazione che compara Tadic allo stereotipo (a volte errato) del calciatore slavo, ricco di talento ma con pause troppo lunghe, ridurrebbe eccessivamente il suo valore reale e il modo in cui approccia la partita. L'attitudine combattiva non è affar suo, essendo più un ragionatore tecnico, un trequartista moderno dall'ultimo passaggio letale, in grado di accendersi in qualsivoglia momento. Un saggio di classe è reperibile nel 4-2 del Southampton sul Manchester City, nel maggio scorso.

Ad agosto è arriva la firma sul prolungamento con adeguamento fino al 2020 con i Saints, ma al St. Mary's in tanti hanno la sensazione che il numero undici possa ben presto levare le ancore e salpare verso lidi più prestigiosi, in caso di stagione all'altezza del proprio potenziale. Resta però l'enigma da risolvere: un calciatore come lui può imporsi in un grande club a livello Europeo, oppure è meglio accontentarsi dell'Hampshire, dove è leader tecnico e fonte di gioco primaria? La risposta è tutt'altro che banale. Il "no, thanks" passerebbe come un'occasione sprecata, anche alla soglia delle tre decine, ma è altresì vero che sono poche, pochissime le squadre in cui Tadic potrebbe avere successo.

Da scartare in partenza sono le squadre di corsa e temperamento, caratteristiche che il serbo non possiede: difficilmente lo si vedrebbe andare in pressing sul primo portatore di palla avversario, piuttosto che scattare all'indietro per aiutare il proprio centrocampo in continuazione. Dunque possono essere scartate realtà quali il Liverpool, il Chelsea, l'Atletico Madrid o il Tottenham, ma anche lo stesso Manchester United, visto il lavoro che Mourinho è solito chiedere ai propri trequartisti in fase di sacrificio, Oscar docet. Allo stesso modo è anche complicato immaginarlo a dirigere la trequarti di City o Arsenal, non avendo uno status da superstar che hanno i titolari in quei ruoli, i signori De Bruyne e Ozil.

Dovesse però accettare il ruolo di rincalzo, o più elegantemente, di alternativa ai due citati, Tadic sarebbe perfetto per il calcio di Wenger e di Guardiola. La sua visione di gioco, giocando la palla negli spazi angusti innescando la velocità dei compagni, è la prima caratteristica richiesta ai trequartisti in quel tipo di meccanismo. Le doti tecniche verrebbero esaltate dal fraseggio rapido e le verticalizzazioni rappresenterebbero un'arma a dir poco letale, e i compiti difensivi sono per scelta molto ridotti. Certo, rischierebbe innumerevoli panchine dietro a quei due, ma è un rischio che val la pena di essere corso, anche perchè una squadra di alta fascia che abbia davvero bisogno di un titolare con le sue caratteristiche non c'è.

Fonte immagine: independent.ie
Fonte immagine: independent.ie

Il calcio sempre più fisico imposto da alcune realtà preclude infatti la necessità di un fantasista dai piedi buoni che si aggiri alle spalle delle punte, e chi ne può avere bisogno pretende maggior velocità piuttosto che idee e fantasia. E chi cerca queste ultime è, nella maggior parte dei casi, già a posto in rosa. Il Siviglia, ad esempio, difficilmente sostituirebbe Vazquez, così come l'Inter Banega, specialmente con un giocatore estraneo al campionato. Ragionamento estendibile anche ai club di Bundesliga, Borussia Dortmund in particolare, e anche al PSG di Emery, che già attende l'emergere definitivo del Flaco Pastore.

E così, l'opzione che rimane aperta, la più credibile, rimane ancora la maglia a strisce verticali bianco-rosse. A 28 anni, muoversi in un grande club con poche certezze nella propria valigia significherebbe bruciare gli ultimi anni di carriera. Un rischio troppo grosso per un calciatore in grado di fare la differenza anche in età più avanzata, con diverse stagioni ancora di fronte: la prospettiva di bruciarle è troppo opaca, almeno in questo preciso momento storico.

Il destino ha disegnato per Tadic un futuro crudele, di nuovo in quel maledetto limbo nel quale in pochi vogliono finire, ma anche dove in altrettanto pochi sanno stare: il serbo, per fortuna, fa parte di questi. E per ora il suo futuro resta legato a quello del Southampton. Non male, tutto sommato, se si pensa che senza i Saints non si raggiunge il paradiso.

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About the author
Giorgio Dusi
Vivo a Bergamo, scrivo di calcio, in particolare di Juventus e Arsenal, e di basket tra NBA ed Eurolega. Giornalista. Laureando. Forse. [email protected]