Tra circa un mese, il Perù calcistico vivrà i centottanta minuti più importanti della propria storia calcistica. Tra Lima e il continente oceanico, solo il pacifico divide la Blanquirroja da un sogno chiamato Russia 2018, da una partecipazione mondiale che manca dal 1982. L'ultimo ostacolo si chiama Nuova Zelanda, si chiama spareggio intercontinentale, non esattamente una formalità, soprattutto quando in palio c'è un posto in paradiso. Il Perù ci arriva però in piena corsa, con una striscia positiva di sei gare nelle quali ha raccolto dodici punti (3 vittorie, 3 pareggi). Una serie che ha permesso la rimonta mondiale, la rimonta verso un quinto posto che sembrava francamente irraggiungibile dopo le prime uscite. Poi, però, qualcosa si è acceso.

Il dito sull'interruttore l'ha posto Ricardo Gareca, da due anni e mezzo la guida della Nazionale, l'uomo delle scelte a volte forti, altre volte impopolari, che ha sempre tirato dritto per la propria strada, rimediando un terzo posto nella Copa America del 2015 e un'eliminazione ai quarti di finale - sul filo di lana, contro la Colombia ai calci di rigore. El Tigre ha puntato su un gruppo solido, un nucleo principe a cui si sono aggiunti strada facendo nuovi pezzi, chiarendo le gerarchie e seguendo la propria strada fino in fondo, fino a trovare la giusta chimica, probabilmente quella mostrata nelle ultime gare.

Fonte immagine: Twitter @SeleccionPeru
Fonte immagine: Twitter @SeleccionPeru

Ieri l'1-1 ottenuto in casa contro la Colombia è stato forse frutto di una prestazione spenta, ma bisogna sfogliare giusto un filo all'indietro le pagine del girone di qualificazione per trovare prestazioni brillanti, movimenti armoniosi di palla e uomini, tutti diretti verso un solo fine: dare palla al finalizzatore, al Depredador, al Capitano Paolo Guerrero, l'anima del Perù. Non poteva che esserci la sua indelebile firma sullo storico quinto posto, con una punizione che ha rimesso in equilibrio il match di Lima ed è di fatto valso il play-off: fino a quel momento, sotto 0-1, il Cile stava mantenendosi davanti anche con la sconfitta in Brasile.

Ci ha pensato ancora lui, il miglior marcatore nella storia della sua Nazionale, uomo di fiducia di Gareca, l'irrinunciabile - insieme a Cueva - nell'undici iniziale, l'anima del Perù sul rettangolo verde, l'uomo in cui il popolo si rispecchia, in cui vede l'appiglio in ogni situazione. Ora El Barbaro sarà chiamato all'impresa più importante di tutte, cioè stendere la Nuova Zelanda e portare il suo popolo fino in Russia, fino ad un sogno chiamato Mondiale, dopo 36 anni di assenza ed una storia tormentata: dal '70 di Didì e la sospetta eliminazione contro il Brasile, poi gli schiaffi presi dall'Argentina nel '78 e quattro anni dopo dalla Polonia. Necessità di voltare pagina, di volare alto, di nuovo. Con la fame di una Tigre e la determinazione di un Guerrero, il Perù è a centottanta minuti dal Mondiale.

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Giorgio Dusi
Vivo a Bergamo, scrivo di calcio, in particolare di Juventus e Arsenal, e di basket tra NBA ed Eurolega. Giornalista. Laureando. Forse. [email protected]