Un inizio così folgorante non se lo immaginava nemmeno nei sogni più belli e, invece, Ciro Immobile sta volando come il simbolo della squadra per cui segna grappoli di gol, l'aquila della sua Lazio. Otto reti in campionato in sei partite, (solo Dybala davanti a lui), due gol in Europa League, due in Supercoppa Italiana e uno piuttosto importante con la Nazionale nel match contro Israele. Sommando il tutto arriviamo a quota tredici in dieci partite, una media che solo Messi e il già citato Dybala riescono a tenere.

La fame agonistica e la voglia matta di insaccare quel pallone in rete sono dei capisaldi nella carriera di Immobile ma tutto, come sempre, parte da lontano. "Nella mia cameretta, dichiara il 17 della Lazio, c’erano una decina di palloni, una porta piccola e poi tanti giornali. Perché a volte io e mio fratello facevamo il pallone con la carta. Mia madre infatti si lamentava che, a casa, con quello di plastica rompevamo troppe cose. Io e mio fratello, pur di giocare, raccoglievamo tutti i giornali e facevamo una sfera che “chiudevamo” con lo scotch. Veniva bene, in fondo, era calciabile e così non si rompeva niente. Poi ovviamente sulle pareti poster della Nazionale e della Juventus, perché noi eravamo juventini, da piccoli". 

A 16 anni, alla Juventus ci è andato davvero: "E’ stato difficile. Una città nuova, diversa, compagni di altre regioni, anche di altre nazioni. All’inizio è stata tosta: andavo a scuola e c’era un pullman che veniva a prendere tutti i ragazzi che venivano da fuori per portarci all’allenamento. C’era poco tempo libero e a noi minorenni non ci facevano uscire, bisognava avere un permesso scritto dai genitori. Era dura. E’ stato un bel sacrificio lì, ma ero in una società importantissima, che mi ha dato l’occasione di poter giocare campionati più importanti e di poter crescere. E’ partito tutto da lì.". Poi l'anno fantastico di Pescara, il Genoa e il titolo di capocannoniere col Torino in Serie A, ironia della sorte: "Stavo facendo bene l’anno di Pescara e potevo avere l’occasione di ritornare. Poi anche in seguito, quando sono andato al Genoa in serie A, a gennaio c’era l’opportunità perché Conte aveva bisogno di un attaccante, solo che il Genoa non ha accettato e quindi ho perso l’occasione. Poi ho giocato nel Torino, lì sono diventato il capocannoniere, e la cosa si è fatta più difficile: stare nella stessa città ma cambiare maglia sarebbe stato complicato quindi sia io che la Juventus abbiamo preso strade diverse".

A ventisette anni, adesso, sembra aver trovato la sua consacrazione sotto le luci dell'Olimpico, sponda biancoceleste: "Sì, al pari con il Torino. Anche in granata mi sono trovato bene. Ventura mi ha lanciato nel calcio vero, quello della serie A. Venivo dal Genoa, dove avevo fatto male, e Ventura, fin dall’inizio, mi ha sempre dato fiducia. Quell’anno ci siamo divertiti, perché io sono stato il capocannoniere del campionato e la squadra ha raggiunto l’Europa League. E’ stata un’annata fantastica. Mister Inzaghi è stato capace di farmi ritrovare la fiducia in me stesso, di farmi essere protagonista nella società, nella città più importante d’Italia. Gli sarò sempre grato". Capitolo Nazionale: "Noi abbiamo un allenatore che ha delle idee importanti, solo che ha bisogno di tempo e noi ne abbiamo purtroppo poco. Ci vediamo solamente ogni dieci giorni quindi non è semplice diventare una squadra nel senso pieno del termine. Però siamo consapevoli della forza del nostro gruppo. Sappiamo che c’è da passare per questi play off. Sarà dura, ma credo che ce la faremo". 

Anche due esperienze all'estero, con il Borussia Dortmund e il Siviglia, vissute in maniera totalmente diversa: "Dortmund? Era difficile vivere, per me. Perché ero da solo, lontano dalla famiglia e non capivo la lingua, ero in difficoltà. Per fortuna in campo c’era l’interprete che stava sempre con me e quando l’allenatore parlava e non capivo spiegava un po’ di situazioni. Però poi fuori dal campo era tutto molto complicato. Non gli sono mai stato simpatico. Forse ce l’hanno con gli italiani dal Mondiale del 2006…". In Spagna le cose sono andate un po' meglio: "A Siviglia mi trovavo bene. Rispetto a Dortmund era una bella città, la gente era caliente, un po’ come al sud da noi. Avevamo trovato una bella casa e stavamo molto bene. Lì purtroppo non ero in prima fila nelle gerarchie dell’allenatore e non ho avuto la possibilità di esprimermi al meglio. Alla fine ho solo chiesto di poter andare via, perché lì non mi sentivo tecnicamente a mio agio. La mia forza è stata quella di poter dire: non piaccio a Emery? Mi metto l’anima in pace,non fa niente, tanto non è che lui allena tutte le squadre. Ci sarà un altro allenatore a cui piaccio. Infatti è arrivato Inzaghi e ha risolto tutto".

Dolci parole per il suo maestro Zeman, nell'anno magico di Pescara Immobile segnò 28 reti: "Ci siamo trovati molto bene. Anche fuori dal campo: un maestro di vita molto simpatico, molto alla mano, diverso da come si vede in Tv". Obiettivi della Lazio che ha iniziato molto bene la stagione: "Stiamo disputando un campionato di vertice. Adesso non ci possiamo più nascondere, stiamo facendo un campionato importante quindi dobbiamo proseguire, non dobbiamo perdere il passo con quelle avanti. Sicuramente non saremo al livello della Juve e del Napoli, però passo dopo passo, cerchiamo di avvicinarci". In chiusura Immobile prova a spiegare la sensazione nel vedere quel pallone entrare in rete: "Una soddisfazione grande, perché lavoro tutta la settimana per poter raggiungere il mio obiettivo. E l’obiettivo, visto che faccio l’attaccante, è segnare. Se ci riesco vuol dire che ho lavorato bene".