Lorenzo Bandini non è stato un pilota vincente nella storia della Formula 1, in cui esordisce al GP del Belgio nel 1961. Il suo palmares conta 47 Gran Premi con una pole position al GP di Francia del 1966, una vittoria in Austria, a Zeltweg nel 1964. Nello stesso anno conquista il suo miglior piazzamento nella classifica mondiale, in cui giunge quarto.

Ma allora per quale motivo il ricordo del pilota italiano è così vivo, ormai a 50 anni dalla sua morte? Perché anche Bandini era un mito. Si lo so, questo termine molto spesso si associa a gente come Gilles Villeneuve o Ayrton Senna. Ma se prendete la definizione associata alla parola mito vi accorgerete che Lorenzo lo era, per gli italiani. Vedete la Formula 1 rappresenta l’apice nel mondo dell’automobilismo, un contesto internazionale, mediatico seppur a quel tempo non al livello odierno. Sulla pelle degli italiani, in quegli anni, c’erano ancora i segni della disfatta di una guerra, di un paese che aveva perso. Allora avere un italiano, emigrato al nord Italia, col suo stile, sorridente, che riesce ad arrivare in un mondo come quello della massima competizione automobilistica assumeva il significato di una sorta di rivalsa nei confronti del mondo.

Getty images
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Lorenzo Bandini non veniva dal nulla, altroché, ma da una storia di vita difficile e triste. Nato nella Libia italiana, era tornato in Italia ancora bambino, al seguito dei genitori, trasferendosi prima a San Cassiano di Brisighella e poi a Reggiolo, dove il ragazzo diventa un provetto meccanico. Nasce e cresce, bella e delicata, la storia d’amore con Margherita, figlia del datore di lavoro e accanto a essa sboccia anche l’altra immensa passione, quella per le corse automobilistiche. Lorenzo, grazie al suocero che gli presta la sua Fiat 1100 Tv, il 10 giugno 1956 debutta nelle corse alla salita Castell’Arquato-Vernasca. 

E tutto il resto sembra una bella favola, rutilante e ricca di gloria. Perché in pochi anni dalle salite ai circuiti il passo è breve e dalle auto a ruote coperte il debutto in F.Junior è ricco d’auspici, visto che la categoria promozionale lo lancia, perfino con una vittoria a Cuba, mettendo in agenda il debutto in Formula Uno. Ai Gran Premi ci arriva grazie alla fiducia di Mimmo Dei capo della Scuderia Centro Sud, nel 1961, che lo schiera al via di quattro gare iridate, con un 8° posto conquistato nel tragico Gp d’Italia a Monza su Cooper-Maserati, la corsa del crash che costa la vita a von Trips e a 14 spettatori.

Poi, progressivamente, l’entrata nell’orbita Ferrari. Con una Rossa vince il Gp del Mediterraneo nell’estate del 1962, ma la gara non è valida per il mondiale. E allora nel 1964 arriva il primo trionfo iridato in F.1, al Gp d’Austria a Zeltweg nell’anno in cui Lorenzo diventa meraviglioso gregario di John Surtees, tanto da fargli vincere il mondiale, mettendo fuori causa in Messico il rivale diretto Graham Hill con una tamponata che gli piega gli scarichi.

Già, il 1967. L’anno della promozione di fatto a prima guida Ferrari nel mondiale di Formula Uno. Con un imperativo non scritto ma categorico. Vincere al Gp di Montecarlo, domenica 7 maggio. La moglie Margherita dirà: “Per due anni era arrivato secondo a Monaco e ci teneva a vincere. Il giorno dopo doveva partire per Indianapolis, dove voleva presentarsi da vincitore di Montecarlo

Su Lorenzo la pressione è pazzesca, eppure al via scatta alla grande, ma a tarpargli le ali è l’olio perso da Jack Brabham, che lo fa scivolare indietro in classifica, proiettandolo in una rimonta inattesa e disperatissima. Nella quale darà l’anima, cercando di acchiappare il battistrada Hulme, trovandosi a battagliare, tra gli altri, con quel Graham Hill, ancora piccato da Messico 1964, che proprio non gli regala nulla, vendendo carissima la pelle.

La gara è durissima, la pista massacrante, i piloti stravolti. Qualcuno dirà di aver visto Lorenzo stremato per lo sforzo, con la testa ciondolante, allargare le braccia passando davanti al muretto dei box, in segno di resa. Verità o meno, resta il fatto che all’82° giro, la Ferrari esce di pista alla chicane del porto e prende fuoco. Trasportato in ospedale, morirà dopo tre giorni, durante i quali l’Italia intera resta col fiato sospeso per la sorte del suo amato pilota, il cui corpo è stato devastato per il 90% dalle ustioni. Nelle scorse settimane, Margherita, in un’intervista al Corriere della Sera, ha ricordato come il medico responsabile delle cure le avesse all’epoca confessato di augurarsi da uomo che, nonostante le cure profuse, il marito non sopravvivesse. Meglio allora ricordarlo così, come facciamo oggi: giovane, sorridente, su una Ferrari rossa. E vincente.

 

 

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 Oreste Sicilia
Studente di ingegneria, appassionato di Formula 1 e comunicazione. Potete trovarmi qui https://www.facebook.com/oreste.sicilia