Nel giorno del trionfo di Chris Froome, il saluto di Alberto Contador. Froome iscrive per la quarta volta il suo nome nella storia del Tour, brinda sui Campi Elisi e si avvicina ai più grandi, scostando, con rabbia ed orgoglio, le critiche che, copiose, piovono da più parti. ll giallo di Chris, fenomeno in grado di evolversi e mutare a seconda di avversari e circostanze, condizione e fortuna, va a fondersi con il bianco e nero di Alberto. Contador pedala solo, una mano alzata in segno di addio. L'ultima partecipazione del Pistolero ha i colori della divisa della Trek, è un manifesto del recente passato, fatto di fatica, sudore e sconfitte. Con le ossa rotte e una visibile commozione, lo spagnolo annuncia la "separazione" dalla corsa francese, non nei programmi nella stagione a venire, l'ultima del Contador ciclista. 

Contador chiude il suo ultimo Tour nelle posizioni di rincalzo, in quell'anonimato da sempre ripudiato nella sua lunga carriera. Da padrone a scalcinato attaccante, da re a semplice spettatore. Metamorfosi dettata da condizioni irreversibili, la nascita di nuovi e temibili rivali, l'incedere, inesorabile, del tempo. Segnali qua e là incastonati ad avvertire il mutamento, l'elevato numero di ruzzoloni a terra, le improvvise contro-prestazioni, punti neri ad alterare il dipinto, a oscurare la stella luminosa di Alberto. 

Fino all'ultimo, l'uomo di Pinto ha provato a non prestar fede ai richiami, ha tentato di scavare nel suo profondo per trovare adeguate contromisure. Il cambio di casacca, un nuovo progetto e forti motivazioni, la testa del Contador di un tempo a cozzare contro il Contador di adesso, lo spirito alla prova del fisico. Lo spagnolo ha ceduto presto il passo, la sua illusione è svanita sul Mont du Chat, quando si è accartocciato sulla sua bicicletta, ha preso una bottiglietta d'acqua e ha cercato in quelle gocce di speranza un'oasi di ristoro. Ha visto svanire gli altri all'orizzonte, è rimasto solo con la montagna, mutatasi, da fedele alleata, in perfido giustiziere. 

Contador ha accettato allora il responso, ma lo ha fatto tendendo la mano al buco nero che lo attendeva, con il coraggio che divide i buoni corridori dai campioni. Ha preso a due mani quel che restava e si è gettato in avanti, senza un preciso piano, con un'idea fissa, ricordare a tutti il suo nome. Nella tappa con traguardo a Foix, è partito, senza contare chilometri e salite, senza pesare i pro e i contro di un'azione evidentemente folle. Contador è partito, perché ne sentiva il bisogno. Con Landa, ha rischiato di incrinare le certezze del Team Sky, di spezzare equilibri interni. In quell'azione, Contador ha riversato tutto sé stesso. La sua danza non era quella leggera ed elegante, seducente ed infernale degli anni d'oro, era un ondeggiare contratto, una progressione di forza priva di efficacia. Sul volto, solchi di resistenza, fiamme di classe. Non ha vinto, nemmeno quel giorno, ma è tornato a respirare ciclismo. Come sulla Croix de Fer, come sul Galibier e per ultimo verso la vetta, inedita come traguardo, dell'Izoard. Contador ha perso, ha aperto gli occhi ed ha deciso di attaccare, per regalare al ciclismo un'ultima istantanea, un ultimo ricordo, quello di un campione piegato dal tempo lungo il cammino, ma forte delle sue convinzioni. 

E il popolo del ciclismo, assiepato a bordostrada, ha acclamato Alberto, anche domenica, ai Campi Elisi. Lo ha sospinto, si è immedesimato con le sue sofferenze, ne ha riportato in superficie le gesta. Contador ha il sapore di qualcosa d'antico, di vetusto, sgualcito dal tempo, eppure affascinante nei suoi difetti, nelle sue imperfezioni. Contador ha i colori di un mondo lontano, piace perché è la rappresentazione ultima di un ciclismo che sgomita oggi per trovare forma. Mancherà Alberto Contador, per personalità, carisma, immaginazione. Mancherà, anche al Tour di Chris Froome. 

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Johnathan Scaffardi
Lo sport come ragione di vita, il giornalismo sportivo come sogno, leggere libri e scrivere i piaceri che mi concedo