Hanno vinto gli Stati Uniti, nonostante alcune tra le loro superstar Nba fossero rimaste a casa dopo le fatiche della logorante stagione che porta al Larry O'Brien Trophy. Non c'erano LeBron James e Stephen Curry, tanto per fare due nomi, ma nemmeno Chris Paul, James Harden, Russell Westbrook e Kawhi Leonard, eppure Team USA ha raggiunto l'obiettivo, anche se sarebbe più appropriato parlare di imperativo. Ogni altro risultato diverso dalla medaglia d'oro olimpica di Rio 2016 sarebbe infatti stato vissuto come un fallimento, un'altra onta dopo quelle di Seoul 1988 e Atene 2004. Un girone eliminatorio giocato senza la sensazione di essere squadra, un paio di vittorie giunte all'ultimo respiro, poi gli Stati Uniti hanno dilagato nei quarti contro l'Argentina e in finale contro la Serbia, vincendo nel mezzo l'ennesimo confronto con la Spagna di Gasol e compagni.

Tra i protagonisti di un primo posto che è stato più complicato da raggiungere di quanto fosse possibile preventivare c'è sicuramente Carmelo Anthony, ribattezzato Captain America da alcuni media a stelle e strisce, che con questa medaglia d'oro chiude la sua avventura in nazionale (tre ori e il bronzo di Atene, miglior realizzatore olimpico di sempre): "So che si è parlato molto di noi in queste due settimane - dice Melo dopo la festa del podio - si è detto che stavamo giocando male nelle prime sfide del girone di qualificazione, ma il modo in cui siamo riusciti a rimanere concentrati e uniti rende questa medaglia d'oro davvero speciale. Non abbiamo mai detto che avremmo asfaltato tutti i nostri avversari e vinto ogni partita con trenta o quaranta punti di scarto, anche se poi in qualche occasione ci siamo riusciti". Si unisce al pensiero di Anthony anche Kevin Durant, autore di 30 punti nella finale contro la Serbia ma protagonista di un torneo a cinque cerchi fatto di alti e bassi: "Dopo la partita del girone con i serbi eravamo tutti molto infastiditi negli spogliatoi - racconta KD - non perchè volessimo batterli con un blow-out, ma perchè sapevamo di non aver giocato bene. Per quanto mi riguarda, è cambiato molto nelle gare ad eliminazione diretta, quelle in cui se vinci vai avanti e se perdi invece vai a casa. E' qualcosa che mi ha aiutato, di cui ho bisogno da sempre, da quando sono un giocatore di pallacanestro. In questo torneo abbiamo avuto due quintetti diversi, uno di grandi realizzatori e uno di energia, siamo stati bravi a miscelare entrambe queste anime della squadra".

"Nessuno può togliermi questa gioia adesso - prosegue Durant - non mi interessa se c'è ancora qualcuno che fa polemica sulla mia scelta di andare a giocare nei Golden State Warriors. Non permetterò a nessuno di rovinarmi questo momento. Ora sono su una nuvoletta, ringrazio coach K, a un certo punto del torneo mi ha preso da parte e mi ha fatto vedere alcuni video del 2010 e mi ha detto che mi voleva veder giocare con quell'aggressività: in finale ci sono riuscito". Emozionato anche Mike Krzyzewski: "A questo punto della mia carriera, e io alleno ormai da quarantuno anni, questa vittoria costituisce una grande soddisfazione e soprattutto un vero onore. Sono orgoglioso di tutta la squadra, ma in particolar modo dei veterani Durant e Anthony, non tanto per come hanno giocato, ma soprattutto per come hanno mantenuto insieme il gruppo. Non sono mai stati egoisti in campo. Forse non siamo stati al top nel girone di qualificazione, ma abbiamo imparato dalle lezioni del passato. Per me Durant è stato lo stesso dei Mondiali di Istanbul 2010, è un giocatore eccezionale". Il prossimo quadriennio a stelle e strisce sarà griffato Gregg Popovich, che rileverà Krzyzewski alla guida di Team USA. A Tokyo 2020 pensa già Jerry Colangelo, chairman di USA Basketball: "Non credo che potremo presentarci con dieci nuovi giocatori, vedremo cosa accadrà, intanto voglio ringraziare Mike, non abbiamo avuto mai rimarcato abbastanza quanto sia stato importante per il nostro progetto"

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Andrea Russo Spena
Laureato in giurisprudenza, con una passione senza confini per lo sport. [email protected]